Qualche imprecisione, a volte anche frutto di idee non proprio chiare in quel preciso frangente, ha costellato la sua storia. Nel 2007, suo anno del debutto e immediatamente in lotta per il titolo, una sbavatura gigante gli fu fatale a Shanghai, penultima gara in calendario quell’anno. Partito dalla pole position e al comando per 24 giri, Lewis sbagliò una frenata e finì per arenarsi nella sabbia all’entrata della corsia box dove lo attendeva un pit-stop. Ritirato: zero punti. Nel GP successivo, in Brasile, un po’ di confusione mentale McLaren lo relegò al settimo posto al traguardo. Kimi Raikkonen, vincitore con la Ferrari sia in Cina sia a Interlagos, gli strappò quel titolo per un solo punto.
Altro errore clamoroso: Spagna 2016. Partito dall’ennesima pole, Hamilton viene sverniciato dal compagno Nico Rosberg alla prima curva. Gli si chiude la vena (l’onore!) e quattro curve più tardi azzarda un contrattacco quasi suicida che si concretizza in un doppio ritiro Mercedes e in due monoposto accartocciate. Con il senno di poi, Hamilton in quel GP spagnolo era velocissimo e la prima posizione l’avrebbe strappata senza grandi problemi in corso di gara, magari con la strategia. E non avrebbe perduto il titolo da Rosberg per cinque punti, come invece accadde. Anche se in realtà fu più il ritiro in una nuvola di fumo in Malesia, sestultimo GP stagionale, a bloccarlo in pista dopo 33 giri guidati davanti a tutti e a negargli di fatto quel titolo.